lunedì 19 agosto 2013

Vuoto.

La mia città è quasi deserta, un po' più vuota del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.
Vuota un po' come me..
Chiunque ha un un po' paura del vuoto.. chiunque ha un po' paura che non ci sia nessuno pronto ad accorgersi di lui, ad essere solidale. Riusciamo sempre ad essere così stupidi da aggrapparci a quel briciolo di falsa sicurezza che ti danno i tuoi simili.
Stupida umanità.
Mi piace essere sola in città, la fa sentire ancora un po' più mia. Riesco a vedere la fine della via, riesco a sentire l'autobus da quattro fermate prima. Il sibilo della città che non dorme si è acquietato, nell'aria rimbomba rumore di vuoto.
Vuoto, un po' come me..

3 commenti:

  1. Quella calma apparente che scintilla un tepore di immenso calore nel blu della notte di una solitudine colorata di un vuoto pieno di pensieri. E ti accorgi di non esser più sola.

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  2. Mi sento vuoto nel pieno di questa città. Un vacuo rumoroso di onusto lamento che stordisce. Vuoto o pertugio che sia, nelle oscure latebre nell'anima mia, silentemente esso urla gemendo, graffiando, consumando, dissipando le emozioni, sublimando l'essenza, le speranze, il respiro, mutando in un rantolo mortifero, dell'imminente dipartita. Non reagisco ai pungoli umani, quelli feraci, fantasie poliedriche endogene ad ogni vivente, nemmeno a quelli stereotipati, omologati, convenzionali, decisi da coloro che chiamano savi, né a quelli primordiali, conservativi, del primo pianto nel mondo, l'inizio giubilante di una fine certa. Disubbidiente, muto, geloso di non condividere e contagiare dei miei patemi, osservando me ne sto in questo folclore urbano, nell'acredine del tempo. Eppure i miei occhi non scorgono il buio siderale del nulla. Qui attorno c'è rumore e silenzio, movimento e stasi, colore e buio, grida e contegno, desiderio e follia, amore e odio, pace e guerra, il saltare e il cadere, il tentare e il fallire, il vincere e il perdere, il porgere e il sottrarre, il giorno e la notte, la vita e la morte. C'è un pianeta con le sue creature che si estendono sotto il sole e la luna, proiettate verso un ignoto avvenire, che tentano di esperire. Affascinanti, curiosi, pertinaci, timidi, amorevoli, violenti, intrattabili, pragmatici e ambiziosi di avide mete vibranti, un coacervo d'icastici aspetti dell'imperfetto che vuol fare perfetto. Il tutto mi pervade ma non mi emoziona, non mi colloca ne mi affeziona. Brulicanti avanzano indifferenti, mentre giaccio smarrito in qualche parte, su questa grigia distesa artificiale, come un vizzo fiore solitario spuntato infelice tra le fenditure dell'asfalto, meditando nostalgico ameni paesaggi agresti, consolante miraggio che storna la paura di esser pesticciato, irrorando lacrime di dolore, unica mia sorgente di nutrimento per non perire adusto dall'orrore. Repentemente divengo oggetto di sguardi sfuggenti, guatanti e cangianti, di espressioni inespresse, da volti defessi sottesi di mestizia per gli anni persi, da occhi di angelo dal seme di diavolo, sfiorato da corpi solitari ma scosso nel profondo, mi faccio commensale sfacciato degli umori anonimi di quest'agape fraterna. Osservo tra i sbuffi di una sigaretta, l'illusione di un piacere effimero, il futuro umano voler crescere anelante, scavando un solco nel destino, fuggendo via, mentre io immoto estendo le mie radici nel mondo ctonio di un abisso che nutre le mie angosce. Forse il mio è solo uno iato, un buco nel cammino, sì, un buco in uno più grande e ime, quello scavato da tutti. Oppure, chissà, sono una candela lasciata ardere alla luce del sole, dispersa tra tante, in questa piena città. Luce flebile, tremebonda, ma che scalda, calore invitante, avvolgente, penetrante, parlante, sapido d'amore, invito a vita nuova intrisa di balenante colore. DIM.KI.

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